Presentazione di Angela Lucrezia Calicchio – Direttore Artistico di Outis
Verso Tramedautore…
Uno degli assi portanti della civiltà europea del dopoguerra è stato il welfare che, con grandi differenze tra i diversi stati, ha saputo garantire una base comune di servizi e di dignità per tutti i cittadini. Oggi l’Europa fatica ad essere tale, e i suoi popoli si sentono di appartenere a identità diverse e non solidali.
Esiste un’Europa mediterranea che è completamente diversa dall’Europa del nord.
Esistono cioè grandi differenze culturali tra paesi del nord Europa e Mediterranei: la mancata integrazione politica, l’eccesso di cultura liberista che ha preso il posto dell’originaria visione europea: motivazioni, solidarietà fra i popoli, delle origini diverse ma assieme comuni, che si diedero come compito la costruzione dell’ Unione. Oggi, la smisurata disuguaglianza tra ricchi e poveri, tra uomini e donne crea enormi tensioni etniche, culturali, geopolitiche, religiose, che costituiscono un inevitabile fattore di divisione invece che di coesistenza.
A noi sembra che il problema principale sia la mancanza di una visione, senza respiro e senza immaginazione.
E’ ancora una volta una questione in primo luogo culturale. Noi occidentali ed Europei in particolare abbiamo una grande cultura ed esperienza, che potremmo mettere al servizio di un nuovo assetto mondiale. Il nostro approccio alla vita è specularmente opposto a quello dei paesi emergenti: noi pensiamo a mantenere quello che abbiamo conquistato, a salvaguardarlo, ed è giusto che sia così, non abbiamo altro modo di vivere, non sappiamo fare altrimenti in ogni campo della vita pubblica e privata. Le popolazioni dei paesi emergenti invece stanno investendo sul loro futuro: dalle rimesse degli emigrati (i nostri immigrati) al miglioramento e alla costruzione di quartieri e città con le nuove tecnologie: lì è terreno vergine, è tutto da fare, la strada è ancora lunga e tortuosa, e tuttavia l’ex (?) Terzo Mondo, è il Mondo a venire, ha tutta la storia davanti a sé e non ha che “da perdere le proprie catene” .
E l’Italia? La mancanza di una identità collettiva che sia capace di valorizzare le differenze regionali aggregandole in modo da ridare fiducia, orgoglio e ambizione di essere italiani; le grandi narrazioni collettive del ‘900 che hanno esaurito da tempo la loro spinta e non sono state sostituite da nulla che non sia la corsa sfrenata al successo ad ogni costo, la coazione al consumo e il culto dell’immagine, ci creano un certo affanno.
Per amore di sintesi possiamo accennare a due ordini di problemi: uno di natura strutturale, l’altro culturale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’Italia dovrebbe rafforzare il proprio apparato produttivo, investire nella ricerca, sostenere la creatività del settore artigianale-industriale, valorizzare il patrimonio di risorse culturali, ritrovare una centralità nell’area mediterranea, anche quale transito di idee.
Il problema culturale comprende resistenze in termini di mentalità e valori, di comportamenti collettivi che si oppongono ai cambiamenti e che si traducono in consorterie, privilegi, cordate ecc., privandoci così di una delle carte più importanti per un possibile riscatto nazionale, che deve partire dalla scuola, dalla formazione e dall’educazione di nuove generazioni più moderne ed europee.
Il ruolo della cultura (in Italia spesso disprezzato) è quello di stimolare la riflessione nelle persone, proporre interpretazioni, facilitare il dialogo ad ogni livello, fornire gli strumenti per comprendere i fenomeni sociali.
Ci auguriamo che il teatro sempre più possa essere messo nella condizione di aiutare i cittadini a formarsi opinioni sulla base di processi razionali di argomentazione, riflessione, approfondimento, contrastando la banalizzazione dell’attuale dibattito.
Queste le motivazioni che ci hanno guidato nella scelta dei testi, degli spettacoli, dei loro contenuti, che caratterizzano l’edizione 2016 del nostro festival.
I legami tra una proposta e l’altra, sono per noi chiari, e ci auguriamo di poterli restituire agli spettatori. Nelle storie che ogni artista racconta, siano esse di natura “ intima, individuale o sociale”, gli interrogativi sono comuni: il fragile equilibrio fra vuoto e senso, la comprensione per i molti che non ce la fanno, la perdita della dignità, etc. E tutto ciò ci rimanda all’eterna domanda: Essere o non essere? E se essere, come?
Presentazione di Sergio Escobar – Direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Nella Stagione del suo Settantesimo il Piccolo Teatro trova una coerenza e una ragione in più nel consolidare un rapporto, lungo quindici anni, con Outis e il suo Festival internazionale del teatro d’autore, al quale ci lega una profonda sintonia sulla necessità di aprirsi, oltre i vecchi e nuovi confini, alla circolazione delle idee e degli artisti di tutte le generazioni e ci accomuna una identità di visioni e linguaggi che va oltre la semplice collaborazione organizzativa.
Tramedautore, plasmato come sempre dalla passione e dalla tenacia della ‘nostra’ Angela Calicchio, guarda quest’anno all’Europa restituendone sul palcoscenico le fratture che le criticità dello scenario internazionale hanno aperto e cercando di dare risposte ai profondi cambiamenti che stanno lacerando il mondo e che mettono alla prova le capacità dell’Europa di avere una posizione chiara, coerente e coraggiosa per superare contingenze e nuovi, illusori egoismi nazionalistici.
Sono valori e responsabilità, fondanti dell’esistenza stessa dell’Europa, che vengono messi fortemente in crisi dall’immobilismo e dal disorientamento di Bruxelles, valori che non è anacronistico ricondurre alle origini stesse della nascita dell’Europa, come faremo in un incontro tra generazioni, una serata speciale, in programma al Teatro Studio Melato il prossimo 28 novembre, in occasione dei 30 anni dalla morte di Altiero Spinelli e dei 30 anni della nascita del programma Erasmus.
Quel che continua a unirci a Outis è dunque l’irrequietezza, per usare un termine caro a Morin, uno sguardo che non si faccia ingannare da illusori modelli consolidati, che rabdomanticamente colga nel teatro, apparentemente attività marginale, patologie che ci affliggono e soluzioni che non possiamo rinviare. Anzi il teatro deve essere, nella sua apertura, anticipatore di quei cambiamenti che un occhio superficiale riterrebbe improbabili, minacce o addirittura impossibili.
Il teatro, il Piccolo, sentono e debbono sentire la necessità di rispondere a nuove forme di autarchia nazionalistica, non già chiudendosi ma spalancando le porte agli artisti di ogni idea e generazione che amano e lavorano per la libertà della cultura.
Il teatro continua a essere per noi il cammino verso una nuova idea di cittadinanza ed è un viaggio che ci piace proseguire insieme a Outis.
Milano, 6 settembre 2016